Il libro di Carlo Mannoni “Punta Giglio. Storia di una tutela mancata“, è un racconto, e come tutti i racconti ha i suoi personaggi. Personaggi che vorrei richiamare ad uno ad uno. Per evidenziare i moventi delle loro azioni e delle loro omissioni, già ben individuati da Mannoni, ma anche per un altro motivo: per delineare la cornice di senso comune dentro la quale quelle azioni e quelle omissioni si inscrivono. Credo che questa seconda cosa sia importante. Se non si vede infatti la cornice di senso comune dentro la quale sta tutta la vicenda di Punta Giglio si fa fatica a comprendere perché la battaglia per difendere la falesia sia stata persa e perché difficilmente avremmo potuto vincerla. Uso la nozione di senso comune come Antonio Gramsci la usa nei “Quaderni”. Senso comune è “l’opinione media di una società”, ovvero ciò che comunemente viene ritenuto vero e giusto. È nel senso comune che per Gramsci si solidifica, si storicizza, la nozione di egemonia. Se vuoi essere egemone, se vuoi essere forza guida di una società, di una nazione, devi essere capace di far diventare i tuoi valori senso comune, ovvero ciò che comunemente la gente crede.
Chi sono i personaggi del racconto di Carlo? Sono il Demanio, il Comune di Alghero, la cooperativa Il Quinto Elemento, la Soprintendenza, il Parco di Porto Conte. A parte Il Quinto Elemento, sono tutte articolazioni del nostro ordinamento statuale. Istituzioni.
1. Cominciamo dal Demanio. Il Demanio concede alla cooperativa Il Quinto Elemento un’area di 8 ettari sottoposta a severi vincoli paesaggistici e naturalistici. Lo fa attraverso un bando pubblico che si rifà al Decreto legge n. 83 del 2014, intitolato “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”. Attenzione alle parole. Tutela, ma anche Sviluppo e rilancio. Per togliere ogni dubbio su dove si vuole andare a parare, il bando specifica: “Gli immobili messi a gara saranno utilizzati attraverso nuovi usi caratterizzati per la vocazione turistico-ricettiva in un quadro di valorizzazione delle risorse culturali e paesaggistiche”. Valorizzazione delle risorse culturali attraverso nuovi usi caratterizzati per la vocazione turistico-ricettiva. Questo dice il bando: la casermetta di Punta Giglio deve essere destinata a “nuovi usi caratterizzati per la vocazione turistico-ricettiva in un quadro di valorizzazione economica delle risorse culturali”. Non le dicono, queste cose, i soci del Quinto Elemento. Le dice lo Stato, che parla attraverso il Demanio in forza di un decreto poi convertito in legge (il 31 maggio del 2014). È evidente, insomma, che decreto e bando sono espressione di una scelta politica fondata sulla convinzione che la valorizzazione economica dei beni culturali sia un valore, una cosa giusta. Una cosa che è giusto fare, attraverso una legge dello Stato, nell’interesse collettivo. Agisce qui, attraverso la legge, un senso comune che esprime, nello specifico campo della gestione dei beni culturali, l’egemonia che il pensiero – l’ideologia – che vede nel mercato il regolatore supremo di ogni forma della vita associata è riuscito a stabilire, nel corso degli ultimi quarant’anni anni, sul corpo intero delle nostre società. Si afferma, cioè, una generale visione del mondo. Un inciso, ma importante. Quale presidente del consiglio siede a Palazzo Chigi quando il decreto legge viene proposto alle Camere dal governo? Matteo Renzi, presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico. E quale ministro dei Beni culturali fa approvare dalle Camere il decreto n. 83 che ha come obiettivo dichiarato la valorizzazione economica dei beni culturali? Dario Franceschini, dirigente di primo piano del Pd. Renzi e Franceschini. C’è da stupirsi? No, perché il Pd è stato in Italia il principale veicolo dello sdoganamento a sinistra dell’ideologia che vede nel mercato l’unico regolatore della vita sociale.
2. Il Quinto Elemento. Che cosa fanno i soci della cooperativa? Partecipano alla gara. C’è una chance. Gliela fornisce una legge dello Stato e loro la colgono. Ci credono davvero, i soci della cooperativa Il Quinto Elemento, che valorizzare turisticamente un bene culturale sia una cosa giusta. Ci credono perché questo è il senso comune costruito negli anni da un fronte politico e culturale al quale aderiscono un presidente del Consiglio e segretario del partito di maggioranza, il ministro della Cultura e persino il sindaco della loro città, Giuseppe Sala, altro esponente Pd. I soci della cooperativa Il Quinto Elemento sono in buona fede. Agiscono nella convinzione che valorizzare turisticamente un bene comune sia non solo lecito per loro “imprenditori sociali”, ma un’azione che va in direzione dell’interesse collettivo.
3. Il Comune di Alghero. Il 17 luglio 2017 il sindaco di Alghero, Mario Bruno (Pd), firma il protocollo di intesa con il Demanio. Bruno conosce perfettamente sia i contenuti del bando sia il testo del decreto legge n. 83. Sa perfettamente che la sua firma serve a fare andare avanti un’operazione di valorizzazione turistica di Punta Giglio. Se firma è perché crede nella bontà di quella operazione. Crede cioè che nel ricavare reddito dalla gestione turistica di un bene culturale non ci sia niente di male; e che invece, al contrario, sia un’operazione che viene fatta nell’interesse collettivo. Ci crede davvero, Bruno, che lui sta facendo l’interesse collettivo. Anche lui catturato, come i soci della cooperativa Il Quint Elemento, dal senso comune che Renzi e Franceschini hanno trasformato in legge dello Stato.
4. La Soprintendenza. Svolge un ruolo decisivo. Come mostrano in maniera lampante le pagine del libro di Carlo Mannoni, non lo scrivono loro, i tecnici della Soprintendenza, il piano di gestione di Punta Giglio presentato dal Quinto Elemento, ma certamente lo suggeriscono in larghissima misura. La ratio che guida la Soprintendenza è tutta tecnica. Il piano della cooperativa deve stare dentro le normative vigenti. “Io vi dico – dice la Soprintendenza – come dovete fare perché tutto sia, dal punto di vista normativo, perfettamente in regola”. In nessun momento alla Soprintendenza viene in mente di mettere in discussione il nocciolo della questione: cioè l’uso a fini di valorizzazione turistica di un bene comune. Ma perché mai ai tecnici della Soprintendenza questa cosa avrebbe dovuto venire in mente, se aderiscono, come aderiscono, allo stesso identico senso comune secondo cui si muovono Renzi, Franceschini, Sala, Bruno e i soci del Quinto Elemento?
5. Il Parco. Purtroppo in questo caso le parole da spendere sono davvero poche. La dirigenza del Parco di Porto Conte ha fatto propria la linea della valorizzazione turistica di Punta Giglio in maniera imbarazzante. Nel caso dei dirigenti del Parco il senso comune che vede i beni culturali come un fattore produttivo si manifesta senza mediazioni.
A questi cinque personaggi ne aggiungerei un sesto: la stampa, quasi tutta schierata con Il Quinto elemento sin dall’inizio della storia. E non solo per decisione dei direttori o dei vertici aziendali delle diverse testate, ma anche per intimo convincimento della stragrande maggioranza dei singoli redattori, convinti che la valorizzazione turistica dei beni comuni sia una cosa giusta, da fare per il bene di tutti. Anche qui: senso comune inscalfibile.
Sei personaggi, dunque. Sei personaggi in cerca d’autore, verrebbe da dire. Al contrario del dramma pirandelliano, però, qui i sei personaggi un autore, come abbiamo visto, ce l’hanno sin dall’inizio. Esso è il sistema di valori ormai diventato egemone, il senso comune che vede nei beni culturali nient’altro che un fattore produttivo. Tutti i personaggi della storia raccontata da Carlo si sono mossi guidati da questo senso comune. In buona fede. Del resto, anche quando si lapida un’adultera si può essere in buona fede, perfettamente in pace con se stessi, se si crede in un sistema di valori accettato da tutti, egemone, che sancisce come una cosa giusta la cosa orrenda che è invece la lapidazione. Dal 2017 ad oggi abbiamo avuto a che fare con una nutrita e qualificata schiera di lapidatori di Punta Giglio, tutti convinti di fare la cosa giusta. Hanno fatto la cosa sbagliata, ma sbagliata dal punto di vista di un codice di valori che nelle nostre società è oggi minoritario. Maggioritario invece, senso comune diffuso, è il punto di vista di chi Punta Giglio vuole valorizzarla turisticamente. Ecco perché è così difficile battersi. Ed ecco perché, se davvero si vogliono salvare i tanti altri paradisi naturalistici pronti ad essere sacrificati, contrastare l’egemonia del pensiero produttivista che governa il mondo è decisivo almeno quanto l’impegno a svelare e a denunciare le tante incredibili anomalie giuridico-amministrative che hanno caratterizzato la storia di Punta Giglio. Il campo del conflitto è politico e culturale. Se davvero si vuole vincere, bisogna battersi perché, contro lo spirito del mercato, i valori in base ai quali la comunità di Alghero difende la sua meravigliosa falesia diventino senso comune.
Ne siamo convinti, Punta Giglio merita senz’altro di diventare un caso di studio di rilevanza sovralocale. L’abbiamo sempre detto e abbiamo da subito auspicato che di tutta la complessa vicenda amministrativa e di quanto la cittadinanza attiva impegnata a far rispettare l’eccezionalità dei valori presenti in quel contesto ha vissuto e sofferto, rimanesse un ricordo, si producesse un deposito di memoria, per offrire, anche alle generazioni future, traccia delle ragioni che hanno mosso la nostra azione, in difesa di principi irrinunciabili, con una coerenza che a qualcuno può essere sembrata eccessiva.
Carlo Mannoni, per la sua competenza e lunga esperienza amministrativa, per la sua grande sensibilità per le questioni ambientali, per la sua non comune capacità di scrittura che anche in materie tecniche complesse riesce ad accompagnare il lettore con gli opportuni commenti e toni accattivanti così da tenerne sveglia l’attenzione e, non ultimo, anche per la sua conoscenza e più volte manifestata umana compassione affettuosa nei confronti della particolare realtà culturale algherese, era di certo la persona più adatta a scrivere questo libro che narra anche di una lunga battaglia civile, portata avanti da un movimento spontaneo di cittadini, che ad una lettura superficiale parrebbe conclusasi con una amara sconfitta .
Questa vicenda, “stupefacente e inverosimile”, rappresenta per certi aspetti senz’altro qualcosa di inedito ed emblematico. Al riguardo è significativo che nel corso della nostra battaglia abbiamo dovuto cercare espressioni nuove per parlare di questo caso che Carlo Mannoni nel titolo del libro definisce di “tutela mancata”. Abbiamo chiamato lo sciagurato intervento che ha rotto l’incanto di Punta Giglio una “deflorazione assistita” per esprimere la gravità dell’atto di violenza inflitto all’integrità del corpo e dell’anima stessa di quel luogo, un luogo amato da una vasta comunità di persone che si è sentita tradita dalle stesse istituzioni che avrebbero dovuto tutelare con rigore quel bene comune; Punta Giglio è stata intimamente offesa, si pensi solo alle settimane in cui tre caterpillar hanno devastato la sua umile stradella facendone scempio, costretta a subire un approccio non consensuale, con la complicità delle stesse istituzioni che avrebbero dovuto difenderla e sottrarla alla voluttà privata e alla passione consumistica, salvaguardandola e prendendosene cura. Ma lo sciagurato intervento di privatizzazione e mercificazione, per ragioni che in parte rimangono ancora da chiarire, è stato da subito blindato da una pletora di autorizzazioni, che sono state sbattute in faccia a noi contestatori, ben 14, ci è stato più volte ribadito. Certo sono autorizzazioni rilasciatefrettolosamente con il favore delle tenebre, si potrebbe dire, dopo fitte interlocuzioni in luoghi appartati, dove si è confabulato magari al riparo da occhi e orecchie indiscrete, approfittando del lock down, con procedure non trasparenti che hanno più volte aggirato beffardamente le norme vigenti e non hanno rispettato le prerogative democratiche della comunità interessata alla partecipazione nelle scelte importanti che riguardano i beni comuni. Nel libro di Carlo Mannoni si racconta meticolosamente, con dovizia di riferimenti alla documentazione disponibile, una tortuosa vicenda che non depone certo a favore delle istituzioni preposte alla tutela del patrimonio collettivo naturale, paesaggistico- ambientale e culturale anzi erode la fiducia che i cittadini dovrebbero avere in queste istituzioni.
Dovendo sintetizzare si potrebbero evidenziare, nell’articolato iter autorizzativo, tre clamorosi passi falsi che possono essere considerati vere e proprie ferite alla democrazia, ai principi partecipativi su cui si dovrebbe fondare la gestione dei beni comuni. Si è trattato di furti di prerogative ovvero del mancato “rispetto sostanziale dei diritti della comunità amministrata” come scrive Carlo Mannoni. Non c’è stata la condivisione delle scelte con la comunità interessata, e potremmo dire, che non c’è stato neanche il rispetto formale dei diritti della comunità, perché non c’è stato il coinvolgimento nemmeno della sua rappresentanza elettiva che, purtroppo, benché scavalcata e messa da parte, è apparsa però remissiva, sonnolenta e muta se si escludono poche eccezioni.
Il primo passo falso è quello che per alcuni è stato definito il “peccato originario” ovvero l’adesione dell’amministrazione comunale di Alghero all’intenzione dell’Agenzia del Demanio di mettere a Bando nel 2017 il compendio della caserma di Punta Giglio, offrendolo all’iniziativa dei privati per realizzare dei servizi collegati al cosiddetto “turismo lento”.
La decisione, magari ispirata da buone intenzioni, fu assunta comunque inopportunamente dalla sola giunta comunale, diretta dal sindaco Mario Bruno, e non da tutto il consiglio comunale che ne avrebbe avuto la competenza. Mancò quindi una aperta discussione pubblica.
Nel 2020 anche l’approvazione dei Piani di Gestione delle aree SIC e ZPS presenti nel Parco di Porto Conte che riguardano il territorio che comprende Punta Giglio è stata fatta con un atto autocratico dal Presidente del Parco senza il coinvolgimento dell’Assemblea dei membri del Parco.
Nei Piani di Gestione stranamente non compare l’intervento in questione. Non se ne fa neanche menzione. Carlo Mannoni nel libro mette in rilievo questa anomalia grave e le paradossali giustificazioni del direttore del Parco che spudoratamente ammette che l’intervento non è presente nei Piani di Gestione perché “non è né conservativo né migliorativo di habitat e specie”. E allora? Perché è stato autorizzato?
Infine:
Va segnalato il mancato avvio della procedura democratica per la variante al PRG, da parte dell’amministrazione diretta dal sindaco Mario Conoci, variante che era indispensabile se si voleva autorizzare la modifica della destinazione d’uso degli immobili presenti nel compendio di Punta Giglio, perché, sia chiaro, a tutt’oggi, in quel luogo, le norme del PRG non prevedono né consentono alcuna struttura turistica-ricettiva.
Si è detto che non c’era il tempo per seguire questa lunga procedura democratica… occorreva trovare per forza un escamotage.
E si è arrivato così agli aspetti tragicomici. In mancanza di questo passaggio democratico non c’erano le condizioni per approvare il progetto di trasformazione della vecchia casermetta in struttura ricettiva, perché appunto in contrasto con le norme urbanistiche vigenti come ammettono gli stessi funzionari del comune. Si è quindi messa in scena, nella conferenza dei servizi, una delle performance più creative delle tante rintracciabili nell’iter autorizzativo. ( …in verità qualche perplessità per come si conclude l’iter autorizzativo di questa pratica edilizia è stata avanzata pubblicamente dallo stesso ex sindaco Mario Bruno)
Qualcuno individua e suggerisce una soluzione, una scorciatoia, e nel verbale del SUAPE c’è chi arriva a sostenere, senza tema di cadere nel ridicolo, che il Progetto di “rifunzionalizzazione” della caserma, impostato come realizzazione di una “casa per ferie”, non si debba considerare una modifica sostanziale della destinazione d’uso del fabbricato, perché… “una volta ospitava i militari ora ospiterà i turisti”.
Di questa trovata ne parlerà anche la stampa nazionale.
E di questo passaggio ne racconta bene tutti gli aspetti parodistici ed esilaranti Carlo Mannoni che nel suo libro suggerisce anche di commentare la furbata con la celebre battuta di Totò: “Ma mi faccia il piacere…” Così la beffa si compie e, merita ricordare, ci casca non solo la politica distratta e compiacente o la parte dell’opinione pubblica più ingenua, ma alla fine la sua irresistibile parabola approda nel 2022 anche al Consiglio di Stato in occasione dell’appello presentato dal Comitato Punta Giglio Libera.
I legali della società concessionaria hanno l’ardire di sostenere, davanti a cotanto consesso, che non occorra neanche una riclassificazione catastale dell’immobile, ora adibito a casa per ferie, perché trattandosi di un intervento di rifunzionalizzazione della caserma la destinazione è sostanzialmente immutata. Si tratterebbe insomma di una sorta di rifunzionalizzazione perfettamente reversibile e, se “malauguratamente occorresse”, questa casa per ferie, potrebbe ritornare a essere caserma.
Verrebbe da chiedersi se le forze armate della Repubblica Italiana nata dalla resistenza antifascista vi potranno essere allocate senza prima metter mano alle roboanti parole d’ordine mussolinianerestaurate e rimesse oggi in bella evidenza a offrire uno scenario un po’ horror come ci aspetterebbe piuttosto in un ritrovo di nostalgici dello sciagurato ventennio.
Ripetiamolo: non solo i creduloni, ci sono cascati anche giudici di alto livello, che non dovrebbero mancare di capacità critica, cultura e competenza, si sono lasciati beffare.
Eppure, in tutta questa vicenda c’è stata e c’è tuttora, una variabileindipendente, rappresentata dalla cittadinanza attiva che non si è fatta beffare e ha reagito mobilitandosi. Questa reazione ha dato vita a una grande esperienza di partecipazione, possiamo considerarlo un lascito di Punta Giglio, che però non è stato sufficiente a ottenere che si risparmiasse l’offesa all’integrità del luogo.
Vorrei concludere con una domanda a Carlo Mannoni.
Il caso ha voluto che la storia del comitato Punta Giglio Libera, di cui ampiamente si parla nel libro, prenda il via agli inizi del 2021 proprio quando si concludeva definitivamente la vicenda di Tuvixeddu con la pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione a favore della Regione che aveva, con l’azione avviata dal presidente Soru, di cui Carlo Mannoni era stretto collaboratore, con la funzione di assessore e vicepresidente, evitato la cementificazione del colle e della necropoli di Tuvixeddu. Carlo ha anche pubblicato un bel libro “L’infinita contesa. La tormentata storia della tutela del colle Tuvixeddu” che ripercorre anche quella lunga vicenda il cui risultato è stato assai diverso rispetto a quanto è avvenuto nel nostro caso. Il libro su Tuvixeddu si conclude con la frase “C’è voluto del coraggio.” Questo libro su Punta Giglio invece si conclude con la constatazione “Che storia triste.”
Che cosa ci è mancato Carlo? Forse il coraggio? Ci voleva più coraggio? Da parte di chi?
Ritornerà il posto del cuore, quell’angolo di Paradiso?
Dieci anni prima dell’istituzione del Parco di Porto Conte i ragazzi di una terza media riassumevano la loro esperienza di studio pluridisciplinare in documento dal titolo “Punta Giglio, un angolo di paradiso”. Era il 1991.
Aiutati dagli esperti fecero un’analisi precisa, ovviamente adeguata alla loro età, della storia, della geologia, della flora e della fauna e su quale economia poteva svilupparsi nel Compendio di Punta Giglio. Il luogo che fino ad allora i ragazzi avevano vissuto con la spensieratezza di chi fa una gita fuori porta o con la responsabilità di chi fa un bivacco in un’uscita con gli scout, acquisisce una valenza inaspettata: il valore della protezione e della valorizzazione che ha come unico scopo preservare il bene per le generazioni future. Le loro proposte sono illuminanti: mantenere i processi ecologici essenziali ed i sistemi che sostengono gli equilibri naturali necessari alla vita quali la protezione del suolo; salvaguardare la diversità genetica; assicurare l’utilizzo razionale degli ecosistemi. Propongono l’istituzione di una riserva naturale che miri alla conservazione ed allo stesso tempo alla valorizzazione di uno dei luoghi più interessati della Sardegna nord – occidentale; l’assunzione di personale specializzato, attraverso la frequenza di corsi finanziati dalla Regione o dal Comune; oppure affidare la sua gestione a cooperative di giovani, con positivi riflessi sulla popolazione locale. Creare, sotto la radura delle conifere, delle aree attrezzate per piacevoli pic-nic, per rendere più gradevole la permanenza dei turisti; ristrutturare le costruzioni già esistenti, adibendole in primo luogo ad ufficio informazioni, a sala di proiezione per stimolare l’attenzione e l’interesse dei giovani visitatori; a piccolo museo botanico e faunistico, e perché no, anche storico, per quegli avvenimenti che hanno coinvolto la zona come teatro di guerra; infine ad uno spartano, ma decoroso, posto di ristoro che soddisfi le piccole esigenze dei turisti. Trent’anni dopo, gli alunni di allora, ormai quarantenni, con amarezza osservano quello che è lo stato attuale del loro posto del cuore: privatizzazione delle strutture militari, accessi a pagamento, trenini che percorrono la carrareccia con grossi svantaggi per chi la percorre a piedi dovendo subire nuvoloni di polvere ad ogni passaggio dei mezzi che trasportano turisti. Bar e ristorante aperti per tutto il giorno e gran parte della notte, e presenza di camere per il pernottamento. Chiedo a Carlo, cosa possiamo aspettarci nel futuro prossimo? Fermo restando che per Punta Giglio Libera la lotta continua.
Martedì scorso (10 dicembre) si è tenuta a Sassari la seconda presentazione del volume di Carlo Mannoni, Punta Giglio, Storia di una tutela mancata, presso la Biblioteca Comunale in Piazza Tola.
Dopo i saluti della responsabile della Biblioteca, Maria Antonietta Ruiu e quelli di Elena Pittau, presidente dell’Associazione Punta Giglio Libera-Ridiamo Vita al Parco, hanno preso la parola l’avvocato Elias Vacca ed il giornalista Costantino Cossu.
Elias Vacca ha trattato i temi fondamentali della vicenda, soffermandosi e approfondendo le questioni giuridiche a sfondo politico che, a suo avviso, hanno trasformato il “caso Punta Giglio” nella più incredibile e pasticciata storia amministrativa a cui ha potuto assistere nel corso della sua lunga e intensa attività forense. Un severo giudizio giuridico, morale e politico, il suo, che non ha trascurato i principali attori pubblici della singolare e paradossale vicenda, raccomandando, infine, per i suoi contenuti e approfondimenti giuridici, la lettura del libro ai giovani avvocati che intraprendano la professione.
Degli stessi attori pubblici della storia raccontata nel libro ha parlato Costantino Cossu, per delineare la cornice di senso comune dentro la quale quelle azioni e quelle omissioni si inscrivono.
Il suo intervento ha allargato l’analisi all’humus politico, dello stesso colore, in cui la vicenda ha avuto la sua origine, l’ideazione e il via libera. A partire dal decreto legge n. 83 del 2014, sino al via libera del Comune di Alghero del luglio del 2017, il cui motivo ispiratore, legislativamente codificato, era che la casermetta di Punta Giglio dovesse essere destinata a nuovi usi caratterizzati per la vocazione turistico-ricettiva in un quadro di valorizzazione economica delle risorse culturali e paesaggistiche. Gli attori della storia si muoveranno tutti verso lo stesso risultato da perseguire ad ogni costo, anche con la ripetuta violazione delle leggi di cui il libro parla: i nuovi usi della casermetta e degli otto ettari sulla falesia di Punta Giglio ai fini commerciali, dalle principali autorità amministrative e politiche tuttavia sempre pervicacemente negati, e l’abbandono della memoria storica che il bene evocava.
Senza Capo Caccia e Punta Giglio, forse Alghero e i suoi abitanti non sarebbero più gli stessi.
I due promontori, dall’incomparabile valore naturalistico, paesaggistico e culturale, appartengono alla coscienza della comunità algherese come un valore ideale ed identitario ineludibile. Per questo, quando l’area più preziosa di Punta Giglio, gli otto ettari che si affacciano alla falesia del capo, con la casermetta e le altre postazioni militari della Seconda guerra mondiale, è stata concessa nel 2018 dal demanio statale a una cooperativa per fini turistici e commerciali (bar, ristorante, attività ricettiva con 20 posti letto), la comunità locale, e non solo quella, si è divisa. Da un lato i difensori della piena naturalità del sito, tutelato da specifiche e severe norme urbanistiche, culturali, paesaggistiche e ambientali; dall’altra i fautori dello sviluppo ad ogni costo, anche scapito della privatizzazione, di fatto, di un’area da sempre considerata “bene comune” e, quindi, non cedibile a chicchessia.
Di tale vicenda, che oltre alle vivaci e talora aspre contrapposizioni è stata connotata da risvolti giudiziari amministrativi, civili e penali, si occupa il recente libro di Carlo Mannoni, ex dirigente e amministratore regionale, dal titolo “Punta Giglio, Storia di una tutela mancata“, che l’autore presenterà con Costantino Cossu e Elias Vacca, martedì 10 dicembre, ore 17:30, presso la sede della Biblioteca Comunale di Sassari, in Piazza Tola, su iniziativa dell’Associazione Punta Giglio Libera – Ridiamo vita al Parco Aps e col patrocinio del Sistema Bibliotecario del Comune di Sassari.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Altro
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.