La novità di oggi sulla concessione della scogliera di Calabona è che la Soprintendenza al paesaggio di Sassari ha sospeso d’autorità i lavori di realizzazione del verde in un’ampia area tra gli scogli, da parte della società concessionaria, perché privi della prescritta autorizzazione paesaggistica.
Ne ho parlato, quasi incredulo su questo giornale lo scorso 20 marzo con un articolo dal titolo “Il campo arato di Calabona”.
L’Ufficio di tutela avrebbe anche richiesto alla Regione e al Comune di rivalutare la concessione del 2023, anch’essa disposta senza la prescritta valutazione paesaggistica.
La concessione di cui sopra può definirsi un caso di scuola, ovvero un caso di studio da dover essere scandagliato e accuratamente approfondito a futura memoria. Ciò che lo rende tale è la circostanza che il relativo progetto (3360 mq. con piattaforma in legno di 280 mq. e pontile anch’esso in legno della lunghezza di 46 metri per l’approdo di imbarcazioni sino a 12 metri), pur essendo stato, nel novembre del 2021, “irrimediabilmente” bocciato nel merito sia dal Comune (col suo Ufficio tutela del paesaggio) che dalla Soprintendenza di Sassari, con “pareri negativi non superabili”, nel 2023 è stato incredibilmente autorizzato dallo stesso Comune senza un briciolo di motivazione che spiegasse al disinformato cittadino i motivi del cambio di rotta a 360 gradi, ovvero il superamento dei pareri negativi “non superabili”. Abbiamo così assistito a una commedia in cui l’attore protagonista è la burocrazia comunale che, da novello Giano bifronte, riesce ad assumere sullo stesso caso decisioni contrapposte e inconciliabili. È riuscita infatti, da un lato, a bocciare il progetto per i suoi effetti negativi dal punto di vista paesaggistico sul profilo costiero e per l’assenza del Piano comunale dei litorali (il documento di programma di riferimento per qualsiasi destinazione del litorale sabbioso e roccioso ai fini turistici). Mentre, dall’altro, lo ha approvato, senza prendere in considerazione gli aspetti paesaggistici e scordandosi dell’assenza del piano dei litorali. Per questa giravolta sono stati esclusi dal nuovo procedimento autorizzativo gli uffici che si erano in precedenza pronunciati negativamente (l’Ufficio tutela del paesaggio del Comune e la Soprintendenza) e utilizzata disinvoltamente una norma, a mio avviso inapplicabile alla tipologia progettuale della concessione, che consentirebbe, nelle aree vincolate di Calabona, di escludere la valutazione paesaggistica per le concessioni della durata pari o inferiore a 120 giorni. È bastato ridurre la concessione richiesta a 120 giorni e il precedente parere negativo è stato cestinato. Ma quel parere resta, perché è sostanziale e non legato alla durata della concessione, superiore o inferiore che sia ai 120 giorni, e può essere modificato esclusivamente dagli uffici che si sono espressi in precedenza. Inoltre la concessione per 12 anni, seppure per 4 mesi all’anno, non può essere assimilata a una concessione saltuaria. Ottenute le approvazioni comunali, la Regione ha potuto assegnare in uso alla società l’area sulla scogliera e sul mare per un periodo di 12 anni, a partire dal 2 giugno al 30 settembre di ogni anno, con l’avvertenza che il concessionario non sarebbe dovuto intervenite sulle aree a verde comprese nella concessione. Cosa sia successo nel terreno coltivato dalla Natura in persona da quando esiste il mondo è noto, basta recarsi sul posto per accertarsene. Ora c’è “un grande prato verde”, un misto tra campo da golf e giardino condominiale a cui mancano solo le panchine e qualche vasca con i pesciolini rossi, un modello da riproporre per tutto il litorale per Bosa. Hanno scorticato con le benne tutto ciò che hanno trovato e ridotto a campo da biliardo il precedente terreno ondulato e smosso, con lo scopo di realizzare il bello artificiale e omologato ai canoni della nuova estetica per far felici i turisti in un tutt’uno tra prato e mare. Tutto recintato (una siepe di essenze australiane lo isolerà dagli sguardi indiscreti dei passanti) e autorizzato, si dirà. Per niente, è la risposta. Innanzitutto perché il concessionario ha diritto di immettersi nella concessione a partire dal 2 giugno, e quindi da marzo occupa indebitamente un suolo pubblico che ha addirittura urbanizzato. In secondo luogo perché l’intervento è vietato dalla concessione e soggetto almeno ad autorizzazione paesaggistica semplificata, disinvoltamente omessa dal Giano comunale della commedia. Ora la parola passa al Tar dove si giocherà la partita non solo del giardino tra gli scogli ma della sorte dell’intera concessione.
Carlo Mannoni