Ne siamo convinti, Punta Giglio merita senz’altro di diventare un caso di studio di rilevanza sovralocale. L’abbiamo sempre detto e abbiamo da subito auspicato che di tutta la complessa vicenda amministrativa e di quanto la cittadinanza attiva impegnata a far rispettare l’eccezionalità dei valori presenti in quel contesto ha vissuto e sofferto, rimanesse un ricordo, si producesse un deposito di memoria, per offrire, anche alle generazioni future, traccia delle ragioni che hanno mosso la nostra azione, in difesa di principi irrinunciabili, con una coerenza che a qualcuno può essere sembrata eccessiva.
Carlo Mannoni, per la sua competenza e lunga esperienza amministrativa, per la sua grande sensibilità per le questioni ambientali, per la sua non comune capacità di scrittura che anche in materie tecniche complesse riesce ad accompagnare il lettore con gli opportuni commenti e toni accattivanti così da tenerne sveglia l’attenzione e, non ultimo, anche per la sua conoscenza e più volte manifestata umana compassione affettuosa nei confronti della particolare realtà culturale algherese, era di certo la persona più adatta a scrivere questo libro che narra anche di una lunga battaglia civile, portata avanti da un movimento spontaneo di cittadini, che ad una lettura superficiale parrebbe conclusasi con una amara sconfitta .
Questa vicenda, “stupefacente e inverosimile”, rappresenta per certi aspetti senz’altro qualcosa di inedito ed emblematico. Al riguardo è significativo che nel corso della nostra battaglia abbiamo dovuto cercare espressioni nuove per parlare di questo caso che Carlo Mannoni nel titolo del libro definisce di “tutela mancata”. Abbiamo chiamato lo sciagurato intervento che ha rotto l’incanto di Punta Giglio una “deflorazione assistita” per esprimere la gravità dell’atto di violenza inflitto all’integrità del corpo e dell’anima stessa di quel luogo, un luogo amato da una vasta comunità di persone che si è sentita tradita dalle stesse istituzioni che avrebbero dovuto tutelare con rigore quel bene comune; Punta Giglio è stata intimamente offesa, si pensi solo alle settimane in cui tre caterpillar hanno devastato la sua umile stradella facendone scempio, costretta a subire un approccio non consensuale, con la complicità delle stesse istituzioni che avrebbero dovuto difenderla e sottrarla alla voluttà privata e alla passione consumistica, salvaguardandola e prendendosene cura. Ma lo sciagurato intervento di privatizzazione e mercificazione, per ragioni che in parte rimangono ancora da chiarire, è stato da subito blindato da una pletora di autorizzazioni, che sono state sbattute in faccia a noi contestatori, ben 14, ci è stato più volte ribadito. Certo sono autorizzazioni rilasciate frettolosamente con il favore delle tenebre, si potrebbe dire, dopo fitte interlocuzioni in luoghi appartati, dove si è confabulato magari al riparo da occhi e orecchie indiscrete, approfittando del lock down, con procedure non trasparenti che hanno più volte aggirato beffardamente le norme vigenti e non hanno rispettato le prerogative democratiche della comunità interessata alla partecipazione nelle scelte importanti che riguardano i beni comuni. Nel libro di Carlo Mannoni si racconta meticolosamente, con dovizia di riferimenti alla documentazione disponibile, una tortuosa vicenda che non depone certo a favore delle istituzioni preposte alla tutela del patrimonio collettivo naturale, paesaggistico- ambientale e culturale anzi erode la fiducia che i cittadini dovrebbero avere in queste istituzioni.
Dovendo sintetizzare si potrebbero evidenziare, nell’articolato iter autorizzativo, tre clamorosi passi falsi che possono essere considerati vere e proprie ferite alla democrazia, ai principi partecipativi su cui si dovrebbe fondare la gestione dei beni comuni. Si è trattato di furti di prerogative ovvero del mancato “rispetto sostanziale dei diritti della comunità amministrata” come scrive Carlo Mannoni. Non c’è stata la condivisione delle scelte con la comunità interessata, e potremmo dire, che non c’è stato neanche il rispetto formale dei diritti della comunità, perché non c’è stato il coinvolgimento nemmeno della sua rappresentanza elettiva che, purtroppo, benché scavalcata e messa da parte, è apparsa però remissiva, sonnolenta e muta se si escludono poche eccezioni.
- Il primo passo falso è quello che per alcuni è stato definito il “peccato originario” ovvero l’adesione dell’amministrazione comunale di Alghero all’intenzione dell’Agenzia del Demanio di mettere a Bando nel 2017 il compendio della caserma di Punta Giglio, offrendolo all’iniziativa dei privati per realizzare dei servizi collegati al cosiddetto “turismo lento”.
La decisione, magari ispirata da buone intenzioni, fu assunta comunque inopportunamente dalla sola giunta comunale, diretta dal sindaco Mario Bruno, e non da tutto il consiglio comunale che ne avrebbe avuto la competenza. Mancò quindi una aperta discussione pubblica.
- Nel 2020 anche l’approvazione dei Piani di Gestione delle aree SIC e ZPS presenti nel Parco di Porto Conte che riguardano il territorio che comprende Punta Giglio è stata fatta con un atto autocratico dal Presidente del Parco senza il coinvolgimento dell’Assemblea dei membri del Parco.
Nei Piani di Gestione stranamente non compare l’intervento in questione. Non se ne fa neanche menzione. Carlo Mannoni nel libro mette in rilievo questa anomalia grave e le paradossali giustificazioni del direttore del Parco che spudoratamente ammette che l’intervento non è presente nei Piani di Gestione perché “non è né conservativo né migliorativo di habitat e specie”. E allora? Perché è stato autorizzato?
Infine:
- Va segnalato il mancato avvio della procedura democratica per la variante al PRG, da parte dell’amministrazione diretta dal sindaco Mario Conoci, variante che era indispensabile se si voleva autorizzare la modifica della destinazione d’uso degli immobili presenti nel compendio di Punta Giglio, perché, sia chiaro, a tutt’oggi, in quel luogo, le norme del PRG non prevedono né consentono alcuna struttura turistica-ricettiva.
Si è detto che non c’era il tempo per seguire questa lunga procedura democratica… occorreva trovare per forza un escamotage.
E si è arrivato così agli aspetti tragicomici. In mancanza di questo passaggio democratico non c’erano le condizioni per approvare il progetto di trasformazione della vecchia casermetta in struttura ricettiva, perché appunto in contrasto con le norme urbanistiche vigenti come ammettono gli stessi funzionari del comune. Si è quindi messa in scena, nella conferenza dei servizi, una delle performance più creative delle tante rintracciabili nell’iter autorizzativo. ( …in verità qualche perplessità per come si conclude l’iter autorizzativo di questa pratica edilizia è stata avanzata pubblicamente dallo stesso ex sindaco Mario Bruno)
- Qualcuno individua e suggerisce una soluzione, una scorciatoia, e nel verbale del SUAPE c’è chi arriva a sostenere, senza tema di cadere nel ridicolo, che il Progetto di “rifunzionalizzazione” della caserma, impostato come realizzazione di una “casa per ferie”, non si debba considerare una modifica sostanziale della destinazione d’uso del fabbricato, perché… “una volta ospitava i militari ora ospiterà i turisti”.
Di questa trovata ne parlerà anche la stampa nazionale.
E di questo passaggio ne racconta bene tutti gli aspetti parodistici ed esilaranti Carlo Mannoni che nel suo libro suggerisce anche di commentare la furbata con la celebre battuta di Totò: “Ma mi faccia il piacere…” Così la beffa si compie e, merita ricordare, ci casca non solo la politica distratta e compiacente o la parte dell’opinione pubblica più ingenua, ma alla fine la sua irresistibile parabola approda nel 2022 anche al Consiglio di Stato in occasione dell’appello presentato dal Comitato Punta Giglio Libera.
- I legali della società concessionaria hanno l’ardire di sostenere, davanti a cotanto consesso, che non occorra neanche una riclassificazione catastale dell’immobile, ora adibito a casa per ferie, perché trattandosi di un intervento di rifunzionalizzazione della caserma la destinazione è sostanzialmente immutata. Si tratterebbe insomma di una sorta di rifunzionalizzazione perfettamente reversibile e, se “malauguratamente occorresse”, questa casa per ferie, potrebbe ritornare a essere caserma.
Verrebbe da chiedersi se le forze armate della Repubblica Italiana nata dalla resistenza antifascista vi potranno essere allocate senza prima metter mano alle roboanti parole d’ordine mussoliniane restaurate e rimesse oggi in bella evidenza a offrire uno scenario un po’ horror come ci aspetterebbe piuttosto in un ritrovo di nostalgici dello sciagurato ventennio.
Ripetiamolo: non solo i creduloni, ci sono cascati anche giudici di alto livello, che non dovrebbero mancare di capacità critica, cultura e competenza, si sono lasciati beffare.
Eppure, in tutta questa vicenda c’è stata e c’è tuttora, una variabile indipendente, rappresentata dalla cittadinanza attiva che non si è fatta beffare e ha reagito mobilitandosi. Questa reazione ha dato vita a una grande esperienza di partecipazione, possiamo considerarlo un lascito di Punta Giglio, che però non è stato sufficiente a ottenere che si risparmiasse l’offesa all’integrità del luogo.
Vorrei concludere con una domanda a Carlo Mannoni.
Il caso ha voluto che la storia del comitato Punta Giglio Libera, di cui ampiamente si parla nel libro, prenda il via agli inizi del 2021 proprio quando si concludeva definitivamente la vicenda di Tuvixeddu con la pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione a favore della Regione che aveva, con l’azione avviata dal presidente Soru, di cui Carlo Mannoni era stretto collaboratore, con la funzione di assessore e vicepresidente, evitato la cementificazione del colle e della necropoli di Tuvixeddu. Carlo ha anche pubblicato un bel libro “L’infinita contesa. La tormentata storia della tutela del colle Tuvixeddu” che ripercorre anche quella lunga vicenda il cui risultato è stato assai diverso rispetto a quanto è avvenuto nel nostro caso. Il libro su Tuvixeddu si conclude con la frase “C’è voluto del coraggio.” Questo libro su Punta Giglio invece si conclude con la constatazione “Che storia triste.”
Che cosa ci è mancato Carlo? Forse il coraggio? Ci voleva più coraggio? Da parte di chi?