Calabona, no, così non va bene

Ancora una volta gli algheresi assistono silenti, o forse con malcelata rassegnazione, ad una nuova appropriazione da parte di privati di un bene comune, a Calabona. Un tratto costiero vicinissimo al centro cittadino, frequentato e amato da quegli algheresi (ma anche dai turisti) che non vogliono la confusione balneare delle grandi spiagge, e che cercano la serena bellezza degli scogli e delle spiaggette nascoste.

Quello che è inaccettabile in questi lavori, non è tanto la piattaforma sul mare, amovibile e in legno, ma è la presunzione, tutta umana, di voler snaturare un tranquillo angolo di scogliera, uccidendo tutta la vegetazione presente (comprese le specie endemiche) e soverchiando la geologia, per ottenere un luogo finto e artificiale. Un luogo non più “naturale”.

Quando si interviene pesantemente, con ruspe e camionate di terra, su un delicato habitat naturale, non lo si sta “rivitalizzando”, ma lo si sta uccidendo.

E per favore, non chiamiamo il trasformare un ambiente naturale, per quanto piccolo, in un qualcosa di artificiale e di asservito alle logiche economiche umane ingegneria naturalistica.

L’ingegneria ambientale è una cosa seria ed è l’esatto contrario di ciò che si sta facendo a Calabona. L’ingegneria ambientale deve cercare l’equilibrio tra l’uomo e l’ambiente, e non stravolgere l’ambiente ad esclusivo favore ed uso dell’uomo. Gli ingegneri ambientali si occupano anche di restituire naturalità ad ambienti degradati, ma lo fanno con interventi attenti e con reintroduzioni di specie animali o vegetali preesistenti. Non certo quello che si sta facendo a Calabona, ove in mancanza del PUL, del PUC e di severi controlli, sembra tutto lecito.

Quelle scogliere andavano lasciate com’erano, e non trasformate nel giardinetto privato delle case adiacenti. E pertanto non è accettabile che vengano fatte, sulla scogliera di Calabona, modificazioni permanenti allo stato dei luoghi da parte di un privato che ha una semplice concessione temporanea.

Riflettiamo su quanto potrebbe essere pericoloso iniziare a diffondere la pratica di prendere in concessione tratti di scogli pretendendo poi di dargli lo standard di “percorribilità e comodità” che ti danno le spiagge. Siamo arrivati al paradosso di dover affiancare allo slogan “spiagge libere” anche “scogli liberi“.